“Rue la solitaria” è un romanzo scritto da Federica Aufiero. Al centro della narrazione, la figura di due sorelle che, ad un certo punto, si innamorano dello stesso ragazzo.
La testa è umana. Nessuno le toglie i problemi. Di lei che era bella. Capelli biondi e occhi verdi, quasi azzurri. Fisico perfetto, e un unico grande desiderio: lui. Una folta chioma riccia, cornice perfetta di due occhi color smeraldo, che si sono illuminati. Una sera, all’improvviso. Lei era elegante. Fisico da copertina e sorriso splendente. Ma l’altra era emozioni, gioia, pacatezza, desiderio, tristezza. Un uragano inevitabile. Lo diceva il suo desiderio di possederla che urlava di notte e di mattina, ad ogni suo racconto e nel mezzo di ogni sua assenza. E lei, che sognava di sposarlo, lo aveva capito bene. Prima un piccolo sospetto, poi la certezza, dopo la volontà di convincersi del contrario, infine l’evidenza. Anche se non riusciva a spiegarselo. Come aveva potuto perdere la testa per un topo da biblioteca, asociale, sciatto. Per una che scorgeva nell’autofilia la sua migliore caratteristica. Ma, poi, diciamocelo, non era neanche tanto bella. Eppure… Prima uno sguardo impertinente, poi un sorriso amico, dopo un messaggio inaspettato, infine l’amore. Forte, vivo, travolgente, impulsivo. In fuga da tutti, soprattutto da lei. Tanto, chi se ne frega: erano felici, si amavano. Contava solo quello. Questo ci insegna Federica Aufiero attraverso il romanzo, Rue la Solitaria, pubblicato da Infinito Edizioni con il patrocinio di A. G. O. P. Onlus. “La vita ti fa gioire per poi scaricarti una delusione subito dopo. Perché alla vita, riflettiamo, alla fine, a lei, che gliene frega se noi ci disperiamo. Se noi ci spegniamo? Se non abbiamo più quella luce negli occhi. Che importa a lei? Niente! Perché lei è stronza, a lei non frega niente di nessuno. E se dovessi rappresentarla, la disegnerei come una bellissima dea, perché sì, fuori è bella, lo sappiamo tutti. Tutti guardiamo gli altri e gli invidiamo almeno un po’. Perché pensiamo che loro non hanno problemi come noi, anche se in realtà potrebbero averne anche di più grossi. La rappresenterei bella, quindi, questa vita, ma caratterialmente la definirei come una stronza moralista che toglie i sogni. Perché la vita è piena di menzogne, pregiudizi. Ci sarà sempre chi ti guarderà, e troverà qualcosa di sbagliato in te. Perché alla fine, alla vita, che importa?”. Un ciclone, veloce e in continuo fermento, nel quale non ci sono ruoli a tempo indeterminato. Oggi, gioie. Domani, dolori. Dopodomani, incertezze. Come esempio concreto, Federica offre sé stessa. E sembra surreale, che una adolescente in lotta contro un male terribile, possa scrivere un inno alla bellezza della vita, nonostante tutte le sue contraddizioni. Sembra surreale che, alla fine, la voglia di vivere esploda, comunque. Fino ad immaginare, con un poco di inchiostro, quel mondo di cui non potrai mai fare esperienza. Le amicizie, gli amori, la scuola, i progetti sul futuro. L’adolescenza. Sembra surreale che una ragazza decida di sorridere, nonostante le quattro mura dell’ospedale come casa. Sembra surreale, eppure accade.
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