Dopo quasi due mesi di isolamento da pandemia, e con la fase due appena partita, la ricerca circa possibili vie d’uscita e di scenari possibili sembra riguardare solo alcuni settori.
Dei lavoratori della cultura, delle donne al lavoro, non sembra esserci traccia nelle misure governative.
Non solo da noi. Il ruolo dell’arte e della cultura anche nella strategia delle nazioni europee appare infatti come il grande assente nelle riflessioni in atto.
Non vi è traccia infatti di un grande e necessario progetto, cosi come richiesto da più parti, in favore di artisti ed operatori culturali finalizzato quindi a sostenere l’arte e il ruolo della cultura.
Intervistato da “La Lettura” Hans Ulrich Obrist, direttore della Serpentine Gallery di Londra, tra i più importanti musei di arte contemporanea, ha formalmente lanciato l’allarme a nome di tutti gli addetti del settore, richiamando a mò di esempio, quanto realizzato dalla amministrazione Roosvelt negli anni trenta, quindi durante la precedente grande crisi planetaria.
A seguito della Grande Depressione infatti in quel paese venne approvato il Public Works of ArtsProject grazie al quale, con uno stanziamento di 1,2 milioni di dollari, vennero messi sotto contratto 3.749 artisti, i quali produssero oltre 15 mila dipinti, murales, stampe, poster e sculture per gli edifici governativi, realizzati nel tentativo di raccontare la vita del proprio paese in quella particolare situazione.
Il Pwap durò due anni sostituito dal Work Progress Amministration rimasto operativo fino al 1943.
Grazie a queste misure non solo sopravvissero ma uscirono dall’anonimato artisti del calibro di Jackson Pollock, Lee Krasner, Mark Rothko, Willem de Kooning, Philip Guston, Alice Neel e Jacob Lawrence.
Con quei provvedimenti “uomini e donne dell’arte e della cultura” entrarono a far parte ufficialmente della società americana.
Allora come ora il mondo ha bisogno di aiutare il mondo della cultura, di sostenere gli artisti, ha bisogno delle loro idee, di visioni e prospettive in ambito sociale.
A questo aggiungasi che da noi dal 23 febbraio, data in cui sono stati chiusi musei, pinacoteche, biblioteche, parchi archeologici e luoghi di cultura in genere, tutti i lavoratori dei Beni Culturali hanno immediatamente subito gli effetti della crisi rimanendo senza stipendio e senza tutele, visto che la maggior parte di essi non è assunta con contratti da dipendenti, ma lavora con il regime delle partite iva, con contratti a chiamata o in nero.
Una situazione di assoluta precarietà e sfruttamento in cui versano questi lavoratori ed a cui vanno aggiunte circa 20 mila guide turistiche, rimaste anch’esse senza lavoro e tutele.
Malgrado la cultura in Italia dà lavoro solo a circa 830 mila addetti, il 46% sono freelance e quindi precari.
Con un patrimonio artistico, culturale e naturalistico sterminato, 53 sono i siti Unesco presenti nella nostra penisola, i lavoratori impegnati nella cultura sono solo il 3,4% del totale collocando il nostro paese al 19esimo posto tra i 28 paesi Ue.
Una moltitudine di addetti sostanzialmente invisibili, contrattualmente indifesi e di cui si parla molto poco.
Dopo diverse settimane di reclusione durante le quali le donne sembrano aver acquisito un surplus di invisibilità, le cose non sembrano andare meglio complessivamente nemmeno per il gentil sesso a prescindere dal settore in cui operano.
Presenti infatti nelle corsie degli ospedali, nei laboratori, nei centri di ricerca risultano inesistenti nelle commissioni di esperti, nella task force e ai vertici di governo nell’affrontare la pandemia.
Non solo. Dal 4 maggio per molte donne la ripartenza è a marce ridotte in quanto la stragrande maggioranza di chi è tornato al lavoro è composta da uomini e cinquantenni.
A riprova che il paradigma dei rapporti tra i sessi non è cambiato la Rete Dire ha diffuso i dati raccolti da 80 Centri Antiviolenza secondo i quali nel periodo dal 2 marzo al 5 aprile, le richieste di aiuto sono state 2867 con un incremento del 74,5% in più rispetto alla media.
Costrette spesso alla coabitazione con mariti e compagni violenti, nel solo mese di marzo 11 sono state le donne ammazzate dai loro partner durante la pandemia a botte, a colpi di pistola, strozzate.
Una situazione di sicuro allarme sociale quella in cui vivono le donne italiane a cui ha aggiunto una sfumatura di colore negativo l’ulteriore episodio di “body shaming” di cui è rimasta vittima Giovanna Botteri, inviata Rai da Pechino, presa di mira per la piega dei capelli e per i golfini che indossa durante le dirette televisive da Michelle Hunziker a Striscia la Notizia.
A riprova, qualora ve ne fosse ancora bisogno, che modelli stupidi e anacronistici non solo sono ancora presenti nel nostro modus vivendi, ma pur non avendo più ragione di esistere riguardano un po’ tutti.
Solo una chiosa finale, infine, sull’ultima polemica tra Vescovi e Governo in riferimento alla riapertura delle chiese, senza voler includere alcun giudizio di valore in queste osservazioni.
Secondo l’Istat nel 2018 c’erano solo 14 milioni e 265 italiani che dichiaravano di andare a messa una volta alla settimana, circa uno su quattro, nella stragrande maggioranza ultra settantenni.
Inoltre e solo per completezza statistica nello stesso anno il numero dei praticanti è stato superato da quello di coloro che hanno dichiarato di non frequentare mai un luogo di culto (14.670.000 persone). Se poi si guardano i titoli di studio, più alto è il livello di istruzione, minore è la percentuale di coloro che frequentano i luoghi di culto, sempre secondo lo stesso centro statistico.
Se quindi distinguiamo i fedeli per fascia di età ci rendiamo conto che il contagio riserva le conseguenze più gravi agli anziani.
Questo dovrebbe essere l’unico dato da valutare per assumere qualsiasi decisione sulla riapertura delle chiese, risultando strumentale e non pertinente la polemica sollevata sulla libertà di culto.
Valutazioni sanitarie a parte sappiamo che il governo incalzato dalle opposizioni e dalla presa di posizione della Cei sta lavorando ad un piano per consentire ai fedeli di tornare a messa possibilmente in sicurezza.
Nell’interesse di tutti auspichiamo solo estrema cautela, per evitare di trovarci tra qualche mese a dover rispondere alla domanda: la contaminazione Covid valeva bene una messa?
Scrivi un commento