Facciamo fatica a comprendere l’evento planetario della pandemia, non solo in ragione del suo impatto globale, non solo alla luce della rapidità del contagio ma soprattutto perché tutte le istituzioni sono state messe in ginocchio nel giro di poche settimane.
Secondo uno studio della sociologa Eva Illouz apparso il 23 marzo 2020 sul sito del Nouvel Obsertaveur, il coronavirus ha imposto strane e nuove regole di distanziamento sociale, costringendo gli abitanti a rintanarsi in casa, con una socialità sostitutiva rappresentata da internet, facendo di fatto saltare quel contratto sociale implicito tra gli Stati e i cittadini fondato sulla capacità dei primi di garantire la sicurezza e la salute dei secondi.
Le nostre società infatti troppo occupate a fare profitti, a sfruttare la terra ed il lavoro, da molto ormai tra l’economia e la vita attraverso la tutela della salute hanno scelto la prima.
Soprattutto negli ultimi decenni classi politiche indegne, grandi aziende e centri finanziari si sono attivati per ridurre drasticamente i budget dedicati alle politiche pubbliche, dalla istruzione alla sanità.
Il sistema capitalistico ha subito una trasformazione essenziale non rendendosi conto che privando gli Stati di risorse per istruzione, sanità ed infrastrutture alla fine si sarebbero privati loro stessi di tutto ciò che rende possibile l’economia, rendendo il mondo non più redditizio.
Con l’imbroglio neoliberista soprattutto negli ultimi venti anni le “moltitudini” si sono viste tagliare i fondi in tutti i settori considerati “strategici” dallo Stato e in particolare nella sanità.
Anche se negli ultimi due decenni la spesa sanitaria complessiva è cresciuta del 22%, di fatto sono aumentati solo i fondi girati alle strutture private nella misura di un terzo circa, mentre il settore pubblico ha subito la riduzione del numero di ospedali e di posti letto.
Dal duemila infatti la spesa sanitaria è passata da 63,8 a 115,4 miliardi, con il paradosso appunto che mentre lo Stato sborsava più soldi si chiudevano dappertutto gli ospedali. Il taglio alla sola sanità secondo La Fondazione Gimbe, rispetto alle nuove necessità, fino a tutto il 2019 è stato di 37 miliardi.
Tutte le misure adottate in questi anni hanno inciso sul numero dei posti letto che con la riduzione operata sono passati da un massimo di 4 per ogni mille abitanti ad un massimo di 3,7.
Uno 0,3% in meno che da solo ha ridotto il numero dei posti letto di circa 20mila unità.
Stesso indice si rileva nel tasso di ospedalizzazione cioè nel numero di ricoveri medi annuale abbassato per ogni 100mila abitanti da 180 a 160.
Fra il 2009 e il 2017 sono state chiuse ben 77 strutture pubbliche. Si è passati cioè da 638 a 518 presidi ospedalieri con un calo del 18,8% e con una conseguente flessione dei posti letto passati nel solo 2017 da 151.646 a 23.840 (anche in Francia per esempio nell’ultimo ventennio sono stati tagliati 100mila posti letto).
Per colpa delle Regioni e quindi della politica la cura dimagrante adottata con l’intento di ridurre gli sprechi ha di fatto ridotto la capacità del nostro sistema sanitario di combattere le emergenze sospingendo il nostro paese nelle ultime posizioni per numero di posti di terapia intensiva.
L’unico incremento si è avuto solo in favore dell’assistenza privata convenzionata che ha visto raddoppiato in suo favore l’esborso finanziario passato da 15,8 a 31,5 miliardi.
A differenza delle normali attività imprenditoriali la sanità passata in mano alle Regioni, da Nord a Sud si è caratterizzata per un rapporto molto stretto con la politica locale.
Con un ulteriore criticità in più per le Regioni che negli anni hanno accumulato un deficit spaventoso, tutte sottoposte ad un doloroso piano di rientro. In testa Lazio e Sicilia seguite da Campania, Calabria e Molise.
Anche da noi i presidenti-commissari che si sono avvicendati hanno cercato di ottenere il riequilibrio dei conti con tagli al personale ed agli investimenti.
Tagli che non sono serviti di fatto a risanare i conti ma che hanno peggiorato la qualità dei servizi.
Nella assistenza ospedaliera e nella specialistica il servizio pubblico è stato gradatamente sostituito dai privati convenzionati e dalla mobilità passiva, il ricorso dei molisani a cure mediche in altre realtà, attraverso l’erogazione da parte di strutture fuori regione di servizi prima erogati dalla nostra Asrem.
La nostra regione inoltre è campione di mobilità passiva con una media nel 2018 del 29% a fronte di una media nazionale del 9%.
Nel privato convenzionato fanno la parte del leone Neuromed e la Cattolica che nel solo 2018 hanno raccolto 108 milioni per prestazioni erogate.
Ed è in un sistema di questo tipo che la nuova epidemia di coronavirus ha trovato terreno fertile. Oltre alla preoccupazione delle regioni del Nord di perdere profitto, preoccupazione che ha in sostanza ritardato la chiusura di molte strutture produttive con conseguenze in termini di contagio e purtroppo di vittime che sarà possibile contabilizzare sono quando usciremo dalla pandemia.
Nell’affrontare cioè il dilemma se sacrificare la vita di soggetti anziani e vulnerabili o sacrificare la sopravvivenza economica di maestranze e capitani d’industria si è scelta non solo in Italia ma in tutta Europa la prima soluzione.
Insomma la deriva neoliberista e la caccia all’accumulo della ricchezza a scapito di ogni tutela e diritto, non ha retto, come ormai è evidente a tutti, all’epidemia da coronavirus, facendo emergere altre criticità, nuove sotto diversi aspetti.
In primis la tenuta psicologica e sociale delle nostre comunità in particolare nelle grandi città, messe a dura prova dall’isolamento delle ultime settimane, se solo si pensa a come possa vivere nell’emergenza un nucleo familiare di 4 persone in un appartamento di 40/50 metri quadrati come accade spesso nelle industriose città del Nord.
A riprova, ve ne fosse bisogno, che neanche di fronte al coronavirus siamo tutti uguali.
In secondo luogo la nuova situazione lavorativa ed economica che si è venuta a creare a seguito dell’adozione delle misure di contenimento.
Commercio di prossimità, piccoli artigiani, ristorazione, comparto turistico e culturale, partite iva ormai frustrate dalla prospettiva di non riuscire ad introitare alcun reddito nei prossimi mesi sono ormai allo stremo. Solo a Napoli e Palermo per ora, già in questo ultimo periodo, ci sono stati i primi tentativi di uscire dai supermercati senza passare per la cassa, con conseguente intervento delle forze dell’ordine.
In terzo luogo in molti territori con molte vittime, la pandemia ha decimato la generazione più anziana. Persone che non potranno più essere per i più giovani punto di riferimento non soltanto negli affetti ma anche nella vita quotidiana, non essendo riuscita la nostra sanità, per le ragioni in precedenza indicate, a proteggerli ben prima che il coronavirus colpisse duramente il nostro paese con una percentuale di letalità del 9% in Italia, del 12,1% in Lombardia a fronte del 5,8” dell’Hubei in Cina.
Secondo Cittadinanzattiva un quarto degli italiani ha più di 65 anni; il 40% della popolazione, circa 24 milioni soffre di una qualche malattia cronica; di questi la metà, 12,5 milioni, ne ha più di una, per cui nel 2016 era pronto un Piano Nazionale della Cronicità che impegnava le Regioni a fare qualcosa per ipertesi, diabetici, ammalati di cuore, dei bronchi, dei polmoni, per coloro che sono sopravvissuti ai tumori.
Questo piano mai finanziato, è stato recepito l’anno scorso solo da alcune regioni, di fatto senza garantire nessuna efficace assistenza domiciliare, nessuna prevenzione, nessun presidio che potesse aiutare i malati nella loro vita quotidiana.
Quarto aspetto: l’attuale crisi rimodulerà molto probabilmente anche i rapporti internazionali, cambiando quindi il colore dei nostri alleati.
Chi infatti si occuperà di capire quale mondo uscirà dopo la pandemia avrà negli occhi soprattutto le foto degli aerei russi, cinesi e cubani, numericamente più numerosi di quelli dei nostri tradizionali alleati, con il paradosso che i medici e gli specialisti russi, cinesi e cubani, in una sorta di contrappasso dantesco, operano solo ed esclusivamente nella più importante regione a trazione leghista.
E’ indubbio che tutti questi cambiamenti, sono stati così straordinari e si sono compiuti così rapidamente che non è stato facile affrontarli e valutarli appieno.
Di certo la condizione in cui versa la nostra sanità e le criticità denunciate non fanno ben sperare per il post pandemia, oltre ad essere sotto gli occhi di tutti.
Per finire avremmo voluto scrivere anche delle conseguenze prodotte dal coronavirus sulla esistenza dei circa 55mila “senza fissa dimora” italiani, tra cui gli oltre 100 homeless regionali che devono la loro sopravvivenza, non solo in questo periodo, esclusivamente all’opera meritoria ed all’impegno di associazioni di volontariato ed Ong.
Lo faremo più in là quando placata la “cagnara” dei rancorosi sarà possibile riannodare una riflessione sulla necessità di una nuova forma di solidarietà tra generazioni, non solo tra giovani e anziani, ma anche tra i primi e gli ultimi della scala sociale, immigrati inclusi.
Naturalmente senza il consenso e con buona pace dei propagatori di odio.
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