Secondo la tradizione canonica, il 20 gennaio 1320 Dante Alighieri avrebbe tenuto una dissertazione filosofico-scientifica sull’altezza dell’acqua e della terra di cui oggi resta un testo scritto noto come Questio de aqua et terra. L’operetta, scritta in latino, si inserisce nella tradizione tipicamente antica di considerare il cosiddetto mondo sublunare come composto dalle sfere concentriche dei 4 elementi (terra, acqua, aria, fuoco) e, in un susseguirsi di tesi e obiezioni, tratta il problema dell’altezza della terra emersa e della sfera naturale dell’acqua parteggiando per la maggiore elevazione della prima. Nel periodo in cui si appressava a concludere la Commedia, Dante avrebbe dunque assunto il ruolo di scienziato determinando, davanti al clero veronese presente quell’inverno nella chiesa locale di Sant’Elena, una questione naturale dalla connotazione simile a quegli ambienti culturali che egli sembra aver frequentato a Firenze prima dell’esilio.
L’attribuzione del testo a Dante nasce dalle chiare sezioni paratestuali che ne costituiscono il contorno:
La presente trattazione di filosofia naturale è stata definita da me, Dante Alighieri, infimo tra i filosofi, sotto la signoria dell’invitto Signore messer Can Grande della Scala, Vicario dell’Imperatore del Sacrosanto Romano Impero, nell’illustre città di Verona, nel tempietto di Sant’Elena […][1]
Gli studiosi, negli anni, hanno avanzato diversi argomenti a favore della paternità canonica[2] e ancora oggi la tradizione “vulgata” accetta la Questio tra le opere dantesche. D’altra parte, essa non si sottrae a numerose difficoltà che creano dubbi attributivi tanto significativi che vari studiosi si sono espressi contro l’autenticità. Le incertezze nascono da diversi dati: ad esempio, non si conoscono manoscritti o testimonianze dell’esistenza del testo antecedenti dell’editio princeps (la prima stampa) del 1508 – ad esclusione di un riferimento nella cosiddetta terza redazione del commento di Pietro Alighieri alla Commedia, la quale però non sembra attribuibile con certezza al figlio di Dante. Un recente studio ha inoltre evidenziato che la Questio cita una teoria comparsa e diffusa solo molti anni dopo quel gennaio 1320[3]. C’è da considerare, poi, la contraddizione tra Inferno XXXIV e la Questio per ciò che concerne il fenomeno dell’emersione delle terre, spiegato nel primo caso con la famosa caduta di Lucifero e nel secondo caso con l’attrazione esercitata dal cielo delle stelle fisse[4]. Su questo punto, come su altre argomentazioni di entrambe le parti, ci sarebbe molto da dire. Si pensi, poi, ad altri elementi di indagine come le relazioni dell’operetta con il genere della quaestio scolastica (non sempre seguito fedelmente) o le vicende biografiche relative alla complessa questione dell’arrivo a Ravenna degli Alighieri.
Insomma, la Questio si presenta come un’opera quasi sconosciuta che sarebbe ancora meno nota se non fosse legata in qualche modo al nome di Dante e, di conseguenza, a un giallo attributivo ancora irrisolto. Il dibattito tra gli studiosi, ormai secolare, ha visto l’alternarsi di opinioni a favore e contro l’autenticità, e un risultato accettato all’unanimità è ancora sensibilmente lontano, forse irraggiungibile senza nuove scoperte o rivelazioni risolutive. Ad ogni modo, la Questio de aqua et terra resta un campo di indagine ancora aperto e, che sia riconosciuta o rifiutata la paternità dantesca, continuerà a orbitare intorno al Sommo Poeta alimentandone la tradizione di studi e destando fascino e perplessità.
Note
[1] Questio de aqua et terra, XXIV, 87-88. Cito dall’edizione curata da Michele Rinaldi in D. Alighieri, Le opere, vol. V, Epistole, Egloge, Questio de aqua et terra, a cura di M. Baglio, L. Azzetta, M.Petoletti e M. Rinaldi, introduzione di A. Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2016, pp.651-751.
[2] Tra i vari studi, si vedano ad esempio P. Toynbee, Dante and the ‘cursus’. A new argument in favour of the autenticity of the “Quaestio de aqua et terra”, in “Modern Language Review”, XIII (1918), pp. 420-430; F. Mazzoni, La “Questio de aqua et terra”, in “Studi Danteschi”, XXXIV (1957), pp. 163-204.
[3] G. Fioravanti, Alberto di Sassonia, Biagio Pelacani e la Questio de aqua et terra, in “Studi Danteschi”, LXXXII (2017), pp. 81-97.
[4] B. Nardi, La caduta di Lucifero e l’autenticità della “Quaestio de aqua et terra”, Torino, SEI, 1959.
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