La crisi climatica e recentemente quella pandemica stanno generando profonde ferite nell’economia e nella società che avranno bisogno di tempo e delle migliori energie del Paese per essere superate.
E’ questo l’abbrivio dell’appello sottoscritto e lanciato dalla Fondazione Symbola, da Federculture, dall’ADI, dalla Fondazione Fitzcarraldo e dalla Alleanza delle Cooperative Italiane di Cultura per favorire l’integrazione delle filiere culturali e creative nel percorso di rilancio del Paese.
Una sorta di chiamata a scendere in campo rivolta al mondo della cultura e della creatività chiamate a svolgere un ruolo di accompagnamento nella trasformazione ecologica e digitale del sistema produttivo nazionale con l’intento di renderlo più resiliente e competitivo.
Filiere che ogni anno producono ricchezza diretta per oltre 90 miliardi di euro attivando soprattutto anche altri settori dell’economia.
Questa è la ragione per cui i sottoscrittori dell’appello pensano che i settori creativi devono rappresentare, soprattutto in un periodo di grave sofferenza come quello attuale, una infrastruttura per sviluppare quella innovazione necessaria per raggiungere gli obiettivi promossi dai programmi Next Generation e Green New Deal.
Un contributo importante per ridisegnare processi produttivi circolari, servizi digitali della PA più efficienti, una sanità territoriale più vicina alle persone, territori più interconnessi, luoghi di lavoro e di vita più accoglienti e salubri, un turismo più digitale, città più vivibili e sicure.
Un nuovo orizzonte e, secondo alcuni, una opportunità che deve essere colta nel Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza, disegnando misure specifiche sulla creatività nei processi di sviluppo.
Un interessante programma che prevede l’istituzione di misure dedicate al trasferimento di innovazione dalle filiere culturali ai settori manifatturieri e dei servizi della Pubblica Amministrazione. Ed ancora attraverso l’individuazione di centri nazionali di competenza della creatività con l’obiettivo di rendere più digitale e competitivo il Made in Italy. Ed a cascata l’impegno a dare piena attuazione alla normativa sulle imprese culturali e creative ed al completamento delle norme che disciplinano il terzo settore.
Ed infine l’avvio di una campagna di progettazione design-oriented dei nuovi sistemi di accoglienza del pubblico nelle strutture dedicate alla popolazione quali atri degli ospedali e dei presidi socio sanitari, delle scuole e delle palestre, uffici anagrafi dei Comuni, hub culturali e creativi nei processi di rigenerazione urbana della città.
Per superare la crisi serve insomma a parere di Ermete Realacci presidente di Fondazione Symbola, Andrea Cancellato presidente di Federculture, Luciano Garimberti presidente ADI, Ugo Bacchella presidente della Fondazione Fitzcarraldo e di Giovanna Barni, Carlo Scarzanella e Irene Bongiovanni di Alleanza delle Cooperative Italiane di Cultura una economia a misura d’uomo e un ruolo importante delle industrie creative come già indicato nel Manifesto di Assisi.
Ad aggiungere altro materiale di riflessione sull’importanza del ruolo delle imprese culturali e della cultura in genere per il superamento dell’attuale fase di crisi è stato pubblicato anche il sedicesimo rapporto annuale di Federculture 2020 con il titolo: Impresa Cultura e un altrettanto interessante sottotitolo: dal tempo della cura a quello del rilancio.
Un rapporto annuale che non è solo un racconto collettivo della crisi in atto ma che contiene anche un’analisi degli ultimi 20 anni di politiche e trend della cultura in Italia.
Il primo dato che balza agli occhi è rappresentato dai dati riguardanti i danni sopportati dalle aziende culturali colpite dalla crisi: il 70% stima perdite del 40% del proprio bilancio; per il 13% perdite superiori al 60%; il 50% prospetta una riduzione e ridefinizione delle proprie attività mentre solo il 22% immagina un futuro ritorno alla normalità.
A questi dati il rapporto aggiunge una attenta ricognizione relativa all’ultimo ventennio circa la condizione degli operatori culturali prima che la pandemia li colpisse duramente.
Intanto si evidenzia una significativa riduzione delle risorse pubbliche per il settore culturale da parte principalmente di regioni, province e comuni. Se nel 2000 infatti la spesa pubblica statale e locale per la cultura era pari a 6,7 miliardi di euro nel 2018 (ultimo anno in cui sono disponibili i dati) era scesa a 5,7 miliardi, insomma un miliardo in meno, con un incremento nel secondo decennio del solo stanziamento da parte del Mibact.
Una riduzione quindi consistente della spesa pubblica ante pandemia che già ci vedeva in fondo alle classifiche europee con una incidenza della spesa culturale sulla spesa pubblica dell’1,6% a fronte del 2,5% di quella europea.
A questo quadro già poco confortante aggiungasi anche un calo della domanda di fruizione culturale: dal 2010 il cinema ha perso 6,1% di fruitori; il teatro ha visto un calo dell’8,8% cosi come sono calati del 4,9% i fruitori di musica classica e leggera.
Nello stesso periodo sono cresciuti solo i cittadini che hanno visitato i musei più 7% e quelli che hanno visitato i siti archeologici e i monumenti con un più 19,7%.
Fermo quanto già evidenziato quindi sugli effetti negativi della pandemia nel settore culturale una dichiarazione di intenti sembra accomunare tutti i protagonisti del settore che convengono sulla necessità e l’urgenza di una alleanza tra tutti gli attori in campo, per poter rilanciare il comparto cultura e scongiurare il pericolo che esaurite le misure tampone, si inneschi una spirale negativa con conseguente perdita di beni e valori sociali ed economici strettamente connessi al settore specifico. Insomma dopo il tempo della cura sembra arrivato quello del rilancio anche per la cultura.
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