Il primo a lanciare il sasso nello stagno, durante la crisi pandemica è stato Stefano Boeri: “Via dalle città, nei vecchi borghi c’è il nostro futuro”. Ed a ruota Massimiliano Fuksas “ridisegnare lo spazio vitale nella casa post covid”.
Subito hanno raccolto e risposto alla provocazione l’Associazione dei Borghi più belli d’Italia, l’Unione Nazionale Comuni, le Comunità Montane ed Enti Locali (Uncem) e l’Associazione Borghi Autentici.
Da tempo chiedono incentivi fiscali, azzeramento del digital divide, messa in sicurezza del territorio e trasporti, per riportare soprattutto i giovani a vivere nei piccoli comuni. E’ essenziale insiste Marco Bussone, presidente Uncem, creare delle economie circolari che sappiano dare risposte sia alla crisi climatica che a quella pandemica attraverso una politica di risparmio del suolo, di efficienza energetica di rifunzionalizzazione degli spazi.
L’Uncem, nata nel 1952, riunisce 3850 Comuni montani, circa dieci milioni di abitanti e oltre la metà del territorio italiano. Sulla stessa linea L’Associazione dei Borghi più belli d’Italia che dal 2001 rappresenta oltre 300 borghi sotto i 15 mila abitanti le cui proposte possono essere riassunte in quattro punti: riqualificazione, messa in sicurezza dagli eventi naturali quali terremoti, smottamento ed alluvioni; recupero del patrimonio artistico ed architettonico; rigenerazione del tessuto commerciale e turistico di prossimità, per abbondonare il concetto di seconda casa e recuperare quello di abitare un luogo per viverci e lavorare.
Secondo Fiorello Primi presidente dell’Associazione dei Borghi bisogna studiare altre soluzioni per incentivare nuovi residenti che non possono essere soltanto le case ad un euro. Per far sì che i giovani possano venire a vivere e lavorare nei borghi e nei piccoli municipi è indispensabile superare il digital divide, risolvendo il tema della connessione a distanza e recuperando il patrimonio pubblico da offrire a chi apre nuove attività.
Basti pensare che già 200 dei nostri Comuni non hanno più un negozio e un bar ed altri 500 sono a rischio. Per far sì che si determini una inversione di tendenza tutte le istituzioni devono spingere per una accelerazione del Piano banda ultralarga, per nuovi ripetitori che consentano ai 1200 Comuni italiani di non registrare più difficoltà a telefonare, mandare messaggi, vedere la tv, insieme naturalmente al potenziamento di servizi scolastici, sociali e trasporti di qualità, fiscalità differenziata per chi vuole fare impresa nei borghi e nelle aree montane.
Rivalutare i borghi non solo come luoghi dove andare in vacanza ma come luoghi dove si vive meglio e diversamente che nelle grandi città, luoghi del pensiero e della lentezza, cifra dell’Italia artigianale, dell’agricoltura di qualità, della tutela della biodiversità tra città e campagna, tra mare ed entroterra.
Negli ultimi anni i segnali in questa direzione ci sono e sono molteplici. Da Franco Armino che da tempo scrive che presto si tornerà ad abitare l’Italia interna. Ai contenuti della Strategia Nazionale delle Aree Interne 2016-2022 che prevede che i comuni lavorino a forme di gestione associata dei servizi adeguate alle esigenze locali, velocizzando la realizzazione della infrastruttura digitale, connettendo le aree interne alla costa.
Solo nel Molise le aree progetto individuate a tal fine sono quattro: Alto-Medio Sannio; Fortore; Matese; Mainarde per un totale di 70 Comuni che rappresentano più del 50% del territorio regionale.
Per il rilancio e la valorizzazione delle aree interne è necessario che i Comuni per lo più piccoli e molto piccoli, superino i loro limiti, guardando oltre i propri confini, lavorando a forme di gestione associata dei servizi offerti alla cittadinanza.
Per la nostra regione il centro Aria, centro di ricerca per le Aree Interne e gli Appennini istituito presso l’Università degli Studi del Molise dal 2016 è stato individuato dai sindaci capofila delle aree pilota, per fornire l’assistenza tecnica e supporto scientifico specialistico nell’ambito della Strategia Nazionale delle Aree Interne.
Ma bisogna fare presto, prima che la pandemia spazzi via i piccoli negozi sopravvissuti, i presidi sociali indispensabili, i piccoli artigiani, i produttori locali, la filiera agroalimentare di prossimità e l’agricoltura intensiva.
Lavorare insomma ad un nuovo modello di sviluppo della società non più urbanocentrica, delle metropoli e dello sviluppo sotteso che la pandemia ha dimostrato essere fallito.
Cosi come è fallito il sistema solo basato sulle economie su cui si fondava il decreto Balduzzi e la gestione della sanità su venti regioni.
Preservando in primis le produzioni di nicchia e dei luoghi, per un artigianato 4.0, unitamente ad un nuovo progetto di società anche per gli anziani, i più colpiti dal modello capitalistico neoliberale e neoliberista adottato non solo in Italia.
Azionando subito modelli dei borghi del benessere e della medicina territoriale, un programma straordinario per gli anziani verso le aree interne, intanto per i mesi estivi. Un settore quest’ultimo dove per una volta il Molise può fare da laboratorio, attraverso l’attivazione di progetti come quello sullo SnaiFortore, nel quale il borgo di Riccia, è definito Borgo del Benessere per l’accoglienza in case distanziate e sicure per anziani che hanno bisogno di cure ma soprattutto di vita attiva e non ghettizzata. Un modello comunque opposto a quello delle RSA dove moltissimi sono morti di covid 19 e prima ancora di alienazione.
Paradossalmente quel pezzo del nostro paese, sparito negli ultimi anni dalla agenda politica e considerato da molti maitre à penser residuo dell’Italia rurale, abitato principalmente da una popolazione anziana e antimoderna.
Placata l’emergenza coronavirus, questo pezzo di territorio può diventare un laboratorio per il futuro del Paese Italia.
Per una serie di ragioni. Intanto non è affatto un pezzo piccolo, corrisponde infatti al 60% del territorio nazionale, è abitato da quasi quindici milioni di persone, produce una fetta consistente di Pil e contiene al suo interno produzioni tipiche ed enogastronomiche.
Insomma un insieme di cittadini, di territori, di risorse, di cultura penalizzati dal trend neoliberista dell’accentramento della ricchezza in porzioni sempre più piccole del territorio nazionale. Il tutto per fare scuole selettive, università competitive, ospedali all’avanguardia, a scapito del resto del Paese e con una evidente crescita delle diseguaglianze.
Naturalmente ridistribuendo equamente i 61 miliardi dovuti al Sud e che invece ogni anno vengono regalati al Nord. Sul punto segnalo “La grande balla”, edito dalla Nave di Teseo, l’ultima fatica di Roberto Napoletano, ex direttore del Messaggero e del Sole 24 Ore. Buona lettura.
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