La forzata clausura ci priverà quest’anno anche della processione del Venerdì Santo, uno degli appuntamenti fondamentali del calendario tradizionale di Campobasso, caratterizzato dal Teco vorrei, o Signore, l’inno di Michele De Nigris su versi del Metastasio: un canto struggente di rara potenza, dal forte impatto emotivo per i toni drammatici della introduzione eseguita dalla banda, il vigore del canto, il lugubre corteo dei cantori, maschi e femmine, tutti rigorosamente vestiti di nero…
È curioso sottolineare come alla popolarità dell’inno abbia contribuito un’operazione più tecnica che artistica, eseguita subito dopo la seconda guerra mondiale dal maestro Lino Tabasso che – nomen est omen – ha “abbassato” di due toni e mezzo l’inno del De Nigris, portandolo dalla tonalità originaria in Sol minore a quella più comoda in Re minore. In tal modo l’inno, che a causa della tonalità molto alta poteva essere eseguito solo dalla banda e da un gruppo ristretto di cantori professionisti, è diventato molto più popolare, giacché può essere cantato da una marea di devoti. Curioso pure che a disposizione dei musicisti sia rimasta solo la trascrizione di Tabasso, mentre l’originale partitura del De Nigris, stando alla leggenda cittadina, sarebbe conservata in una cassetta di sicurezza di una banca non identificata.
Con la popolarità della ricorrenza, vanno registrati anche alcuni svarioni, di anno in anno riproposti, come quello di scambiare la processione del Venerdì Santo per una Via Crucis, che è una pratica liturgica diversa.
Altro sproposito è stampato su alcune immaginette devozionali dell’Addolorata, che presentano come “Inno all’Addolorata” le due strofe stampate alla bene e meglio… E perché non ci siano dubbi, con la precisazione, tra parentesi, che si tratta proprio del “Coro processionale del Venerdì Santo”.
Ora, non c’è bisogno di nessuna analisi per rendersi conto che l’Addolorata non ha niente a che vedere con il testo della monumentale composizione del De Nigris. Basta leggere o ricantare i celebri versi per accertarsi che l’interlocutore del Teco vorrei non è la Madonna ma il “Signore”. È lui, che il fedele (di sesso maschile), pure se “infermo e lasso”, malato e stanco, vorrebbe seguire, aiutandolo a portar la croce. Ed è a lui, al Signore, che chiede il coraggio, affinché non si smarrisca nel “mesto viaggio” al Calvario.
E allora? Perché “Inno all’Addolorata”? A favorire l’abbaglio potrebbe essere stata una trappola innescata involontariamente dallo stesso Metastasio. Alla fine dell’Introduzione, musicata dal De Nigris, e delle successive quattordici stazioni della Via Crucis percorsa da Cristo, che parte dalla condanna a morte, per arrivare alla crocifissione e quindi alla deposizione nel sepolcro, il pensiero devoto del poeta e dei fedeli va alla Vergine Addolorata e al suo “maggior dolor” di madre. Alla quale effettivamente eleva un inno, a suggello della Via Crucis.
Teco, diletta Madre
mi fermo a piè del legno
acciò mi facci degno
di teco lacrimar.
Vinto da tante pene
mi trema in petto il core
dal duolo, dall’amore
mi sento lacerar.
Come si vede, anche nel canto finale a Maria Addolorata, ritorna la mossa iniziale del “Teco”, questa volta non indirizzato al Signore ma alla sua “diletta Madre”, insieme alla quale il fedele si ferma idealmente ai piedi della croce (del legno), dove “vinto da tante pene”, con il cuore che gli trema in petto per il dolore, si sente dilaniare dall’amore.
Fossero questi i versi stampati sul retro del santino, sarebbe giustificato il titolo di “Inno all’Addolorata”. Certo non sono quelli che si cantano durante la processione.
E allora, perché continuare a chiamare il “Teco vorrei”, con il nome di “Inno all’Addolorata”, che invece spetta solo al canto di chiusura della Via Crucis metastasiana, e non chiamarlo così semplicemente “Teco vorrei”? O “Inno a Gesù condannato”? O se proprio si vuole esagerare “Inno della Via Crucis” di Pietro Metastasio o meglio ancora di Michele De Nigris?
Il fatto è che l’inno campobassano, affidato – si badi bene – ai settecento cantori del “Sodalizio dell’Addolorata”, è passato a caratterizzare la processione pomeridiana, post mortem Domini, come la conosciamo almeno dal dopoguerra ad oggi, dopo che aveva caratterizzato l’antica processione ante mortem Domini, che principiava all’alba per proseguire lungo l’arco mattutino del Venerdì Santo, e che veniva detta processione dell’Addolorata. Si trattava della visita ai sepolcri cittadini, per accompagnarvi la statua della Vergine e cantarne i “Lamenti” di madre in ansia per la sorte del figlio: una pratica religiosa, detta anche Processione della Desolata, ancora in uso in molte città e cittadine del sud Italia, in ore e giorni diversi, a cavallo tra il venerdì e il sabato santo (famosa per esempio quella di Canosa di Puglia).
Al riguardo, ci soccorre la musa popolare e dialettale di Giuseppe Altobello, poeta e raffinato cultore del folclore campobassano, che ci ha lasciato una suggestiva rievocazione della notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo, la notte dei Sepolcri, nella chiesa di Santa Maria della Croce. Siamo in epoca anteriore agli Anni Trenta del Novecento:
La chiesa è scura, vegliane le Sante
cu l’uocchie lustre afflitte e scunzulate.
In particolare, insieme ai Santi, veglia la Madonna e non trova pace:
E ‘sta Maronna cu le spade mpiette…
e nz’arepose no a Santa Maria
ma aspetta l’alba e l’ore benedette
pe ghi a cercà lu figlie pe la vija.
Ed ecco, finalmente: “Il Venerdì Santo verso l’alba dalla chiesa di Santa Maria parte una processione che porta tutti gli emblemi della passione e che accompagna l’immagine della Madonna Addolorata che si reca a visitare il sepolcro di Gesù nelle diverse chiese della città. Un mesto inno sacro viene cantato lungo tutto il percorso”. E tutta Campobasso, “lu ricche, l’artesciane, lu cafone”, si raduna alle spalle dell’Addolorata, e singhiozzando canta:
Ogge la croce tua vurrija, Segnore.
Ogge ‘ssa croce tua purtà vurria.
Come si vede, i due versi testimoniano che già allora, nella processione che si teneva dall’alba del venerdì santo, l’Inno del De Nigris aveva sostituito i tradizionali “Lamenti” dell’Addolorata, per essere detto con qualche ragione “Inno dell’Addolorata” (non “all’Addolorata”). Nel senso di inno cantato durante la processione dell’Addolorata, perché in linea con la liturgia e con il pathos del popolo dei fedeli, che nei secoli precedenti aveva dato voce ai “Lamenti” della Vergine Madre, e ora, accompagnandola alla ricerca del Figlio condannato alla Via Crucis e al Calvario, poteva erompere nel “Teco vorrei, o Signore, /oggi portar la croce”.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, una volta spostata la processione nel tardo pomeriggio e introdotto nel proscenio del corteo, che si muove a crocifissione avvenuta, il simulacro di Gesù Morto, al quale si accoda la statua dell’Addolorata, le note del De Nigris sono continuate a risuonare con immutata potenza. Non così i versi del Metastasio che nel nuovo contesto sono diventati meno incisivi. Gesù è morto. In senso logico e cronologico, il popolo non dovrebbe più rivolgersi a lui per ripetere: oggi vorrei portar la croce con te. Semmai: avrei voluto portar la croce con te.
Soprattutto non ha più senso nemmeno continuare a chiamare l’empito dei fedeli “Inno dell’Addolorata”, dal momento che la figura della Madre non è più la protagonista assoluta della processione, ora che è stata relegata in secondo piano, proprio per l’irrompere del Figlio Morto sulla scena processionale vespertina.
Incomprensibile, infine, il perché si chiami e si insista a chiamarlo addirittura “Inno all’Addolorata” (non “dell’Addolorata”), rasentando, anzi sfociando nell’incongruenza. O nel mistero, per essere più cauti e rimanere nel solco della vita tradizionale cittadina.
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