Mi lascio andare ….
Non ho più la forza per poter assistere ad una infinita e disfattista débâcle umana.
Sono li alla finestra che aspetto che il tempo trascorra inesorabilmente lento.
Conto i treni che sommessamente non hanno più voglia di strombettare il loro arrivare in stazione, per poi ripartire.
Tutto è silenzio!
La poca gente che passeggia parla a voce bassa per evitare la eco ed il rimbombar le fauci di un enorme contenitore, “l’immensità”.
Il Mondo si prende gioco di noi, dell’umano.
L’umano, che delle tradizioni e della fortuna di essere al cospetto di chi non può esserlo , e di chi dell’essere non giova il senno, riesce sempre a stupire ed a gratificare quel Mondo che ancora crede di poter girare nel verso giusto e considerare l’essere come il vero motore , la sempre nuova linfa.
Disfattismi, guerre, disamori, rumori molesti, arroganza e negatività vengono sovvertite nel loro danneggiar il Mondo con un’unica azione e, questo da sempre : il Folklore !
Sarò pazzo, lo so ma, una sintesi deve esser pur fatta e, l’unica sintesi è : il “ Folklore “.
Ogni azione corrispondente ad una reazione positiva che porta all’aggregazione nell’imponenza e nella povertà del rito, è la vita !.
Il folklore, dignità di una formazione culturale che, per i più esperti, è riconducibile ai riti, alle condizioni materiali ed essenziali di esistenza. Sinonimo di classi minori, subalterne quali le classi contadine, quelle classi di un mezzogiorno che costituiva la classe lavoro, è posto nel limbo non limbo che audacemente ha saputo conservare identità, vite vissute, patemi, amori, disfatte e ricomposizioni. Il tutto senza temer giudizio e sempre nella fierezza consapevole di un retaggio culturale che, alla fine, ha riscosso il giusto ristoro grazie alla massa, irridendo in maniera mascherata, ma debitamente efficace, chi, come le classi dominanti , lo voleva in contrapposizione rispetto alla cultura dei ricchi, della borghesia.
La stessa che stigmatizzava la lontananza di aspetti e, poneva le genti quel dubbio Amletico dell’essere, condizionando la partecipazione di massa, alla politica consapevole, da combattere e garanzia della buona dose di grandi spunti e di grande capacità aggregativa. Il tutto riconducibile ad una politica attiva e decisamente più a portata di ogni cittadino, di qualsiasi ceto ed estrazione.
E così, lo studio dei riti popolari, religiosi e soprattutto della forza di una musica diversa, arricchita di balli, urla, mimica e grande afflato, divenne quasi per legge : un obbligo da farsi.
Il divario tra Nord e Sud si accentuò, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista prettamente culturale. Il Nord, forte dell’economia e dell’industrializzazione galoppante, nel ricordar che in parte fu usurpata indebitamente e con la forza delle armi fratricide, capendo della forza dirompente della tradizione come fonte aggregativa e di libertà culturale, grande vera spina nel fianco dei potenti , cercò in tutti i modi di condizionarne la salita determinata dall’esodo in massa di intere popolazioni del sud Italia.
Si iniziò a parlare di Magia, di Cultura subalterna e irridente la cultura della borghesia, di mistificazione del padrone e della natura.
Ma , poiché i trattati non ci piacciono molto, dopo questo piccolo spunto di come il riscatto è sempre li pronto ad accaparrarsi ogni bene, diciamo da subito che il folklore nei secoli è stato determinante per la cultura attuale, per il rispetto delle tradizioni e dei propri territori di appartenenza, di quanto la tradizione nell’innovazione è ancora il succo dell’essenza di una vita che, senza l’aggregazione, è fonte di isolamento e di morte.
Sempre più ci accorgiamo di essere diventati schiavi dei social media, del sistema che, mediante guerre tematiche senza armi letali al momento, ma condizionanti, come di improvvisi virus che ci costringono all’isolamento.
Sempre più, subito dopo, ci accorgiamo dell’esigenza di sorridere, di ritrovarsi, di essere protagonisti di un passato che ci ha donato benessere psicologico anche nei momenti più difficili e di assoluta carestia.
Ed allora la musica irrompe decisa, forte, armoniosa ed, un tantino pavida.
Non teme nulla , non teme il trascorrer del tempo, non teme la caducità di un essere umano che si evolve ma nel tornar “ umano “ , è consapevole che la tradizione è la fonte di un essere decisamente orgogliosi della terra di provenienza, di un passato che spesso divaga e dileggia i sogni del progresso e si trasforma in voglia di essere e di essere vivi nel protagonismo più profondo, quel protagonismo che ci rende liberi di pensare, di vivere e di voler amare.
Tutto si rimette in gioco…. Il lasciarsi andare diventa la forza per reagire, i treni tornare a donar il suono di sempre e le stazioni, le strade, le piazze, tornano ad animarsi come non mai.
La vita torna ad essere il fulcro e l’uomo i raggi di una ruota che dal suo volano ne trae forza e ritmo.
Balliamo, gioiamo e perché no, amiamoci nel rispetto delle tradizioni e della propria coscienza di essere umani e, nel profondo, con il cuore di chi emozioni e accelerazioni cardiache da non porre come malessere ma, come sintomo di “ esplosiva voglia di folklore “.
Tante sono le componenti che ci aggradano…. Tante le forme e le condizioni che ancora sono la fonte di ispirazione e di vera condivisione.
Una di queste è la tradizione Garganica che si tramanda da secoli, soprattutto grazie ad un gruppo di “ Cantori “ .
Un gruppo di amici da sempre e per la tradizione più vera. Nenie, ballate, serenate, sonetti e strapolette, il succo di una essenza che nel fulcro di essa vede solo l’Amicizia condivisa e da condividere all’esterno.
Il tornar bambini senza età e senza tempo è la magia e questa magia si chiaman “ Cantori di Carpino “.
La prima aggregazione vera e propria in nome della tradizione più pura si ebbe nel 1924 grazie ad Andrea Sacco. Ad egli si unirono Gaetano Basaisi, Rocco di Muro, Antonio d Cosimo ed Angela Gentile.
Il richiamo della tradizione e del proprio passato è talmente forte che Antonio Piccininno ed Antonio Maccarone, ne furon chiamati e la musica soave e stridente ne fece con il tempo, i Padrini del Gruppo.
Il Folklore puro iniziò l’ascesa e l’interesse da parti di studiosi d’oltre Oceano ne fu’ concretamente la sua riscossa.
Alan Lomax, antropologo Statunitense, si fece carico di analizzare un fenomeno mai domo nel tempo e, rifugiatosi nel profondo Gargano di una Puglia senza “ futuro “, ne trasse immagini sbiadite, uomini e donne che nella loro ancestrale visione si ponevan al mondo senza timore di essere arrise ma consapevoli che il futuro iniziasse ad essere sicuramente migliore. Costumi, abiti della tradizione, pescatori/agricoltori, cavamonti, tutti legati “ ca a fune “ e per questo “ Cafoni “, per una voglia di libertà aggregativa e di pensiero. La voglia di essere vivi nel segno di quella fune che solo la musica popolare può significare.
Ed allora “ Tarantella Garganica “ fu e “ Tarantella Garganica “ è ancora.
Emozioni, rispetto, vita vissuta e tanta voglia di goder di un passato che del presente ne è fondamento e che del futuro sia la via.
Tutto ciò va preservato e preservarlo vuol dire incredibile sacrificio ed indomabile passione.
- “ Chi sona e cànta no nmore maji “
La preservazione è il succo dell’innovazione sociale che determina interesse per le genti, il loro passato, l’esperienza e quanto da essa determina futuro. E così, la tarantella Garganica , specie quella di Carpino, più vera, meno contaminata, più cuore che pancia, ha determinato interesse allo studio, interesse alla conservazione, interesse alla partecipazione. Grandi della musica si sono appassionati ad essa, tra cui Eugenio Bennato, che nel non più vicino 1976 affermò – “ Pescammo nel patrimonio di queste zone alcune canzoni che ci avevano profondamente impressionato. La gente di Milano pensava che fossero gospels statunitensi, non canti del Gargano – ” .
I “ Cantori di Carpino “ varcano i confini regionali e Nazionali. Artisti quali Eugenio Bennato,Renzo Arbore e Teresa De Sio appassionatosi alla musica Garganica e di specie Carpinese, iniziano a diffondere la cultura della tarantella e ne fanno un “ cult “ di dimensioni Mondiali. La Tarantella di Carpino ti ipnotizza, ti entra dentro e costituisce dipendenza. Una dipendenza che non smette di corrispondersi come virus, benigno e senza danni postumi, e per fortuna anche nei giovani, che mai potrebbero essere indenni al contagio.
E’ l’apoteosi dell’amore e simbolo di esso con “ Non te l’aje detto na parola male “.
Andrea Sacco, Antonio Maccarone ed Antonio Piccininno, fautori indiscussi del passaggio orale al documentato, sono volati via con le sonorità della Chitarra Battente di Antonio Rignanese, della Chitarra Battente e della voce di Rocco di Lorenzo, della Chitarra Acustica di Gennaro Di Lella, della Castagnole di Rosa Menonna, della voce e della tamorra di Nicola Gentile, cui oggi spetta il compito di essere il traghettatore verso porti sicuri di una tradizione che vede il Mondo a ballarne la sua Tarantella e la sua storia che di eguali ha solo un nome: il Folklore .
Stampa questo articolo
Scrivi un commento