Claudio Bocci, esperto di politiche culturali per lo sviluppo economico e l’innovazione sociale, dal 3 febbraio in pensione dopo un lungo periodo di lavoro in qualità di direttore di Federculture. Lo abbiamo intervistato per Quarta Dimensione.
Che cos’è Federculture?
Fondata nel 1997, Federculture è l’Associazione italiana che rappresenta le imprese culturali a prevalente capitale pubblico. Dal Museo Egizio di Torino, alla Fondazione Musei Civici di Venezia, dal Maxxi di Roma alla Fondazione Molise Cultura, moltissime sono le realtà produttive che promuovono professionalmente la cultura su mandato dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali. Sin dalla sua nascita, oltre a rappresentarle rispetto alle Istituzioni, la Federazione è anche il rappresentante datoriale del CCNL Federculture, sottoscritto con le OOSS del settore.
Qual è la caratteristica principale di Federculture?
La caratteristica di Federculture è quella di rappresentare il mondo delle imprese culturali di origine pubblica avendo come obiettivo la massima partecipazione dei cittadini e dei turisti alla vita culturale e, contemporaneamente, di fare attenzione all’equilibrio di bilancio attraverso l’organizzazione professionale dell’offerta culturale.
La Cultura che si fa impresa?
Cultura e impresa non sono più contrapposti ma la ‘cultura di impresa’ può trovare applicazione all’offerta culturale professionale di proprietà pubblica in cui, ovviamente, l’obiettivo fondamentale è il valore sociale della partecipazione dei cittadini all’esperienza culturale
Questi argomenti non sono “solo” nazionali ma l’interesse è oramai oltreconfine?
Di questo si è accorta anche l’Europa in cui, da anni, si parla di industrie culturali e creative; e da questo orientamento, con Legge di Bilancio 2018 è stato introdotta nel nostro ordinamento la specifica formula di impresa culturale e creativa di cui siamo ora in attesa dei decreti attuativi.
In parallelo si muove anche il settore “sociale”…
A latere di questo nuovo orientamento anche il recente Codice del Terzo Settore prevede la costituzione di ‘imprese sociali’ finalizzate alla valorizzazione del patrimonio culturale. Il Codice del Terzo Settore, però, non prevede tale qualifica per i soggetti giuridici promossi dagli Enti Pubblici.
Qual è lo stato dell’arte?
In seguito a queste novità si è aperto un dibattito sulle specificità delle imprese culturali, come organizzazioni di diritto privato (di norma fondazioni) ma che rispondono ad obiettivi pubblici. Questo riconoscimento sarebbe molto importante per qualificare il lavoro nel settore culturale e per distinguerlo dalle imprese creative (design, cinema, videogiochi, ecc.) legittimamente orientate al profitto. In questo quadro, sarebbe esaltato il carattere di complementarietà tra imprese culturali, con alto valore sociale, e imprese creative, orientate al profitto. Un esempio è l’esperienza del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il cui Direttore, interpretando correttamente il suo ruolo di impresa culturale, ha commissionato ad un’impresa creativa la realizzazione di un videogioco (‘Father and Son’) che è stato scaricato da centinaia di migliaia di fruitori in Italia e nel mondo favorendo la conoscenza del museo e creando le premesse per nuove visite.
Il recente disegno di legge del 17/02/2020, al Capo II introduce ‘Misure per le imprese culturali e creative’ che svolgono “attività di ideazione, creazione, produzione, sviluppo, diffusione, conservazione, ricerca e valorizzazione o gestione di prodotti culturali intesi quali beni, servizi e opere dell’ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, alle arti applicate, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all’audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche, ai musei, nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazioni ad esso collegati”. Il ddl rinvia ad un successivo provvedimento, di concerto con il MISE, che definirà le modalità di riconoscimento delle imprese culturali e creative.
Ci auguriamo che ora si apra un dibattito utile a definire in concreto tali tipologie di imprese valorizzando i modelli organizzativi promossi dallo Stato, dalle Regioni e dagli Enti Locali.
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