Nell’incontrare Piero Martinetti si entra in un’atmosfera di pacatezza e di sobrietà .

È bello accoccolarsi alla sua ombra nelle giornate piene di sole, quelle in cui tutto sembra essere in pace, noi con noi stessi e noi col mondo circostante. Così come è confortante aggrapparsi a lui quando vacilliamo dentro di noi, nei momenti  di sfiducia e nella idea che in fondo è inutile battersi perché il mondo è troppo ingrato e non merita i nostri sforzi.

È bello perché un po’ riesce a ridimensionare il nostro ego, un po’ spinge a comprendere meglio le ragioni dell’altro e un po’ ci offre  un suggerimento: i nostri sforzi non sono mai vani, hanno un senso, lo hanno per noi.

E si, perché il suo è stato un pensiero filosofico profondo; innanzitutto una filosofia morale che concilia, appunto, nel sole e con il buio.

Il suo “Breviario spirituale” è sorgente, un libro da “ruminare” e che suggestivamente  rimanda a grandi e antichi saggi.

In Martinetti c’è Socrate , per il quale  la morale non era un habitus ma uno status, un modo di essere e stare in società; prova ne è la sua vita, prova ne è anche  la sua morte. E ecco che Martinetti sul piano biografico è proprio colui che fece “socraticamente” il gran rifiuto, l’unico professore di filosofia a non prestare giuramento al fascismo, perdendo per questo la cattedra universitaria ma preservando la cosa per lui più importante: la libertà di coscienza.

Ecco le sue parole, inviate al ministro dell’Educazione:

“Ho sempre diretto la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l’uomo può avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l’E.V. riconoscerà che questo non è possibile”.

C’è Socrate ma c’è anche Platone, del resto ironicamente Martinetti si dipingeva   “Anima di un neoplatonico misteriosamente trasmigrata nel nostro secolo”; ci sono  il saggio Spinoza, col suo geometrismo etico  e il grande Kant con le sue formule che spazzano via tutte le morali eteronome; c’è anche Gesù Cristo, quest’ultimo colto fuori dagli schemi della tradizione cattolica e dal dogmatismo  e  dentro la sua storicità e umana razionalità, tanto che Nicola Abbagnano ha non a caso ritenuto il pensiero di Martinetti  “una specie di misticismo della ragione”.

Neanche va dimenticata l’acredine nei suoi confronti di Padre Gemelli, che non tollerava che un laico, in più liberale e filosofo, potesse scrivere di materia religiosa, ritenuta monopolio dei teologi.  Non dimentichiamoci che i Patti Lateranensi erano stati siglati nel 1929 e l’atmosfera clerico-fascista era assai ingombrante. Diversi sono stati gli episodi di ostilità del Gemelli nei confronti di Martinetti, tra cui il cipiglio con cui concorse a far mettere nel 1937 all’indice dei libri proibiti il “Gesù Cristo e il cristianesimo” e il successivo “Vangelo”.

C’è sicuramente tanto altro in Martinetti, ma quel che risalta innanzitutto è proprio la fiducia, dunque, per la razionalità umana,  per la libertà dello spirito critico. E in questo risiede il suo più prezioso insegnamento, ieri durante il regime fascista e oggi durante un regime democratico in crisi. La coerenza, del resto, in lui è stata eletta a virtù; lucida coerenza del pensiero che ribadisce  a tutto tondo la consapevolezza dei punti e delle argomentazioni, mentre le azioni si declinano in modo sequenziale e confermano il pensiero  in modo cristallino e ossequioso.

Perciò le parole di Amedeo Vigorelli ci risuonano autentiche: “…  con il suo coraggio civile e la sua inflessibilità, salvò non solo la propria libertà e dignità, ma anche la nostra, di noi trascurabili epigoni…”.

Per questa ragione il 6 marzo 2020 Piero Martinetti entra a pieno titolo nella galleria dei Giusti della storia, lui filosofo idealista del Novecento, sempre un po’ offuscato dalle personalità dei suoi due “colleghi di corrente” Benedetto Croce e Giovanni Gentile, intrisi del “fare storia e politica” nel sistema liberale e in quello fascista e che forse neppure si sarebbero mai aspettati di quel “fare storia e farla anche oltre il proprio tempo storico” del collega Martinetti. Quest’ultimo, appartato rispetto  all’agone politico dell’epoca,  agì infatti politicamente lì e allora non giurando fedeltà al fascismo,  agisce qui e ora avendo traghettato il senso di responsabilità individuale e collettiva e l’idea di poter credere, anche nei momenti più duri, al coraggio della libertà e dello spirito critico.

Sicché il suo breviario può essere felicemente  letto con rispetto e interesse  da un credente, così come da un agnostico o da un ateo.

Una nota a margine, che tuttavia ha sollecitato il titolo dell’articolo. È stato scelto un ciliegio per ringraziare Martinetti e per ricordarlo nel giardino dei Giusti di Campobasso.

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